L’obiettivo di cui all’Accordo di Parigi, adottato da 195 Paesi nel dicembre 2015, era quello di rafforzare la risposta globale alla minaccia dei cambiamenti climatici, mantenendo l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C rispetto al periodo pre-industriale e perseguendo tutti gli sforzi possibili per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C sopra i livelli del periodo pre-industriale.
Nel suo ultimo rapporto (ottobre 2018), l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), organo leader mondiale per la valutazione della scienza dei cambiamenti climatici, i relativi impatti e potenziali rischi futuri, e le possibili risposte, ha affermato che l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C richiede cambiamenti rapidi, lungimiranti e senza precedenti in tutti gli aspetti della società, ma porterebbe benefici per le persone e per gli ecosistemi naturali e potrebbe avviarci verso una società più sostenibile ed equa. Il futuro del pianeta, dell’ambiente, delle economie e delle società è strettamente legato ai cambiamenti climatici, i quali sono divenuti una sfida urgente e potenzialmente irreversibile.
Uno dei messaggi chiave, che emerge con molta forza da questo rapporto, è che stiamo già vedendo le conseguenze di un surriscaldamento globale quali, tra l’altro, l’aumento di eventi meteo estremi, l’innalzamento del livello del mare, la diminuzione del ghiaccio marino nel Mar Glaciale Artico. Le emissioni di gas serra prodotte dall’uomo continuano a crescere e sono la causa del riscaldamento climatico. Se continuiamo ad emettere gas serra ai ritmi attuali, raggiungeremo +1,5°C già nel 2030.
“Alcune delle azioni che sarebbero necessarie per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C sono già in corso in alcune regioni, ma avrebbero bisogno di un’accelerazione“, ha spiegato Valerie Masson-Delmotte, Co-Presidente del Working Group I, che aveva il compito di valutare le basi fisico-scientifiche dei cambiamenti climatici.
Il Working Group II, che aveva il compito di affrontare il tema degli impatti, dell’adattamento e delle vulnerabilità, ha messo in evidenza una serie di impatti dei cambiamenti climatici che potrebbero essere evitati limitando il riscaldamento globale a 1,5°C anziché 2°C o più. Ad esempio, l’innalzamento del livello del mare su scala globale potrebbe essere, con un riscaldamento globale di 1,5°C, più basso di 10 cm. entro il 2100; la probabilità che il Mar Glaciale Artico rimanga in estate senza ghiaccio marino si ridurrebbe ad una nell’arco di un secolo (contro una ogni decennio con un riscaldamento globale di 2°C); le barriere coralline diminuirebbero del 70-90% con un riscaldamento globale di 1,5°C, mentre con 2°C se ne perderebbe quasi la totalità (>99%).
“Limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, comparato ai 2°C, potrebbe ridurre impatti complessi su ecosistemi, salute e benessere, rendendo così più semplice il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite” ha detto Priyardarshi Shukla, Co-Presidente del Working Group III, il quale si occupava della mitigazione dei cambiamenti climatici.
Questo rapporto fornisce ai decisori politici ed agli attori del settore tutte le informazioni di cui hanno bisogno per prendere decisioni finalizzate ad affrontare i cambiamenti climatici, tenendo in considerazione i contesti locali ed i bisogni delle persone, ed ha costituito la base di lavoro per la COP 24 (Conference of parties), tenutasi a Katowice (Polonia) in dicembre 2018, il cui nodo principale è stato quello finanziario.
Alla conclusione dei lavori è stato approvato il “Rulebook”, che dovrebbe permettere di rendere operativo l’Accordo di Parigi, ma le Ong hanno denunciato che il testo è troppo debole e che molti Paesi si sono rimangiati gli impegni. È ormai risaputo che sono le economie avanzate ad aver emesso la maggior parte dei gas ad effetto serra nel corso del 20° secolo. Oggi, però, a pagarne le conseguenze peggiori sono le nazioni più povere.
In altre parole, il Nord del mondo ha inquinato, fatto girare le proprie economie e si è arricchito, mentre il Sud è rimasto molto più arretrato. Proprio per compensare tale squilibrio, nel corso delle Conferenze precedenti era stato deciso che i Paesi ricchi avrebbero aiutato quelli poveri ad adattarsi ai cambiamenti climatici. ed a mitigarli, attraverso progetti di transizione ecologica ed un trasferimento di denaro pari a 100 miliardi di dollari all’anno. La cifra, però, non è mai stata stanziata per intero.
Inoltre, non è stato risolto un nodo cruciale nel quadro della lotta ai cambiamenti climatici, cioè quello della revisione degli INDC, ovvero le promesse di riduzione delle emissioni climalteranti, che furono avanzate dai singoli governi nel 2015. I calcoli delle Nazioni Unite dicono che esse non ci permetteranno di centrare gli obiettivi: anche se tali impegni saranno rispettati, infatti, la temperatura media aumenterà alla fine del secolo di oltre 3 gradi, il che equivarrà ad una catastrofe climatica.