Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’invecchiamento attivo è “un processo di ottimizzazione delle opportunità relative alla salute, partecipazione e sicurezza, allo scopo di migliorare la qualità̀ della vita delle persone anziane”.
Ora, purtroppo, la definizione non riguarda più solamente coloro i quali un tempo si era soliti definire “i vecchi” a cui veniva consigliato di rimanere attivi e non isolarsi ma soprattutto chi, a causa dei cambiamenti delle politiche sociali, è costretto a prolungare gli anni di lavoro molto più di quanto non si facesse anche solo 20 anni fa.
“Lavorare più a lungo aumenta l’esposizione al rischio” (cfr.Sergio Iavicoli, direttore del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Inail) con un tasso di infortuni maggiore, un peggioramento delle condizioni di salute causate dalla sovrapposizione delle malattie croniche tipiche dell’età avanzata ed un effetto negativo dell’età sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori.
L’approccio al problema dovrà essere multidisciplinare.
Da questo punto di vista, rivestono un ruolo sempre più importante la valutazione ed il contenimento dei rischi (ad esempio con una eventuale modifica degli indici di riferimento), soprattutto riguardo a :
- impegno di lavoro fisico (movimentazione manuale dei carichi, sovraccarico cumulativo arti superiori, posture, ecc.)
- orari e turni notturni
- microclima severo
- rumore e vibrazioni
- illuminazione e segnaletica ben visibile
- infortuni da caduta, scivolamento od inciampo
- aspetti psicosociali e fattori di contesto e di contenuto inerenti lo stress lavoro correlato
- Conseguentemente, anche la sorveglianza sanitaria ed il giudizio di idoneità dovranno mutare e superare gli standard minimi a cui si era abituati tenendo conto della specificità individuale dei soggetti, da intendere, non come “lavoratori vecchi” ma come “lavoratori che invecchiano”, con la formazione di personale con competenze specifiche.